Litigare in coppia:
ferita o occasione?
Una riflessione sul conflitto nella vita coniugale, spesso vissuto come fallimento o da evitare. L'invito è a riconoscere il valore del dialogo autentico, del perdono e della riconciliazione, riscoprendo nel litigio un’occasione per crescere come coppia e costruire comunione vera

di Massimo Bocci
Spesso pensiamo che, nella vita matrimoniale, il litigio sia un prezzo da pagare o, al contrario, che un matrimonio riuscito significhi non litigare mai. Così impariamo a tacere e trattenerci, rinunciamo a esprimere le emozioni, a crescere nella nostra identità e ad arricchire la relazione. Reprimiamo pensieri e sentimenti, ci chiudiamo, smettiamo di essere sinceri l’uno con l’altro. Ci barcameniamo evitando gli argomenti “pericolosi”, illudendoci di proteggere la coppia. Ma i problemi rimangono e, prima o poi, riaffiorano, generando ferite ben più profonde.
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Se il conflitto porta sofferenza, è comunque preferibile al silenzio freddo, all’isolamento, al muro che separa i coniugi. Il vero pericolo non è discutere, ma ferire volontariamente l’altro, colpendo proprio i suoi punti più fragili. In un litigio, quando si cerca un vincitore, in realtà perde sempre la relazione.
I nostri conflitti hanno spesso al centro l’“io” e non il “noi”. Vogliamo che l’altro cambi, che la pensi come noi, che soddisfi le nostre attese. E spesso non accettiamo la persona amata così com’è. Se ci sentiamo feriti, siamo tentati di restituire il colpo: la bontà dell’altro, i suoi meriti, non contano più.
Perché un litigio non sia distruttivo, deve trasformarsi in una discussione vera, anche vivace, ma dove si ascolta e si dialoga. La difficoltà non sta tanto nel contenuto del conflitto, ma nel modo in cui lo affrontiamo. Tuttavia, anche una discussione può essere dannosa se non viene portata a termine: se ci irrigidiamo, se restiamo sulle nostre posizioni, ciò che resta è il rancore, che corrode la relazione.
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Un litigio non si conclude mai per caso, né perché uno dei due ha convinto l’altro. Finisce quando entrambi scelgono di incontrarsi di nuovo, di ricostruire la comunione, di mettere al primo posto il legame anziché la vittoria. È un atto di volontà: chiedere scusa, accogliere il perdono, desiderare la pace. Se questo non avviene, restiamo ripiegati su noi stessi, senza vera guarigione.
È un momento meraviglioso quando iniziamo a curare le ferite che ci siamo inferti. Non si può guarire da soli: occorre guarirsi a vicenda, incontrarsi di nuovo come persone, ricostruire l’unità. Non basta non essere più arrabbiati: serve la riconciliazione, il desiderio autentico di togliere la sofferenza, di assicurarsi che l’altro stia meglio.
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A volte non è sufficiente dire “mi dispiace”: è necessario chiedere perdono. Il perdono è l’altra faccia dell’amore. Chiedo perdono non solo per ciò che ho fatto, ma per ciò che non sono stato per te. È un gesto che coinvolge tutto il nostro essere. Come nella parabola del Padre misericordioso: il padre gli corse incontro, lo abbracciò, lo baciò, gli mise l’anello al dito e il vestito più bello. Così si ricuce una ferita. Così si ama davvero.