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La storia della parrocchia

Durante l'Anno giubilare, sono stati organizzati una serie di incontri per ripercorrere la storia della parrocchia Santa Maria del Carmelo con i protagonisti di questi 50 anni di vita comunitaria: padre Amedeo Verdirosi e padre Alfonso Cerasoli (1974-1996), padre Pietro Leta (1997-2003), padre Giuseppe Midili (2003-2011) e padre Pippo Basile (2011-2013), padre Agostino Farcas (2013-2019).

Gli anni della fondazione

P. Amedeo Verdirosi e P. Alfonso Cerasoli (1974-1996)

20 maggio 2024

L’area dove è sorto il quartiere di Mostacciano faceva parte di un latifondo dove esistevano già strade e fogne per volere della contessa Pallavicini. Fu il luogo prescelto per realizzare la nuova piccola Roma tra il verde e la natura.

Tra maggio e settembre 1974 le prime persone vennero ad abitare a Mostacciano nelle case costruite in cooperativa (viale beata vergine non era asfaltata e non c’era ancora il telefono). Queste persone venivano da diverse zone di Roma con diverse esperienze alle spalle.

La chiesa parrocchiale si trovava a Mostacciano B (Stella Maris, detta la chiesetta) e padre Amedeo, figura molto forte, franca e schietta, ne fu il primo parroco. Padre Agostino, padre Alfonso, padre Tommaso, padre Mario, padre Daniele lo raggiunsero e costituirono la prima comunità. Padre Amedeo arrivò verso la fine del 1973 e all’inizio non c’era nessuno.

Le riunioni della parrocchia e del comitato di quartiere si tenevano nel salone accanto a Stella Maris che era un ex fienile.

La domenica i frati andavano a mangiare a Sassone con il resto della comunità carmelitana e si portavano via la scorta per la settimana. I primi parrocchiani usufruivano così del frigorifero ben fornito quando andavano da padre Amedeo per gli incontri. Si creava comunità stando insieme.

Padre Amedeo fece costruire il centro dei carmelitani di Sassone e poi la chiesa di Mostacciano. I sacrifici in termini economici e di impegno furono tanti e alla fine riuscì a far costruire la chiesa firmando 1 metro cubo di cambiali perché le imprese gli facessero credito.

Mostacciano era come un’isola. Non esisteva il Torrino. Gli abitanti si conoscevano tutti. La scuola e la parrocchia erano i punti di riferimento. Padre Amedeo si faceva vedere nella scuola Pallavicini ma non interferiva. Il salone di Stella Maris veniva utilizzato per le recite scolastiche e per attività ricreative (fintantoché la scuola non ha avuto l’opzione per il tempo pieno). Si organizzava la proiezione dei film per i bambini in parrocchia mentre i genitori erano impegnati nei colloqui con gli insegnanti. Padre Mario che arrivò nei primi anni 80 insegnava religione nella scuola Pallavicini. Le suore di Santa Chiara hanno collaborato fino al 2000, cioè fino a quando nei saloni del Santa Chiara ha iniziato a prendere corpo la parrocchia di San Giovanni Battista de La Salle. C’erano anche le suore Paoline di via Vivanti andate via intorno al 2010-2015.

Padre Amedeo promosse una comunità coesa e aperta per credenti e non credenti. Propose di creare il comitato di quartiere. Il prof. Chillemi fu il primo presidente del comitato di quartiere. Alle prime elezioni parteciparono più di mille votanti. Le riunioni del comitato di quartiere si svolgevano nel salone di Stella Maris. Il quartiere era aperto alla collaborazione con gli altri quartieri limitrofi.

Nel quartiere si creò una cooperativa per le attività sportive, aperta a tutte le persone. In parrocchia nacque un piccolo gruppo per assistere le persone in difficoltà non solo per fornire alimenti ma anche per aiutare le persone in tutti gli aspetti della vita. Nacque anche l’azione cattolica che svolse un percorso di formazione religiosa tramite lo studio di testi sacri e messaggi pontifici. L’Azione Cattolica iniziò anche percorsi formativi su grandi temi di carattere sociale ascoltando importanti esperti. L’Azione Cattolica organizzava anche il pranzo natalizio che coinvolgeva nell’organizzazione più di 100 persone della parrocchia per accogliere 80-100 commensali. L’Azione Cattolica creò anche un ciclostilato di 800-1000 copie che vaniva distribuito alla fine della messa.

La cooperativa 2000 mise a disposizione un grande salone vicino al distributore ENI di via Jachino dove si svolgevano le messe in attesa della costruzione della chiesa in zona A. La comunità ecclesiale si riuniva presso le case delle famiglie per leggere il Vangelo. Le suore del Santa Chiara oltre ai sacerdoti e ai padri carmelitani svolsero in questa fase un ruolo importante.

L’oratorio iniziò organizzando dei giochi per i bambini davanti alla chiesetta in zona B. Si costituì una squadra di basket, la Polisportiva Primavera. Nella stessa area si svolgevano anche le feste che erano molto partecipate e coinvolgenti. In zona A padre Amedeo indicó il posto degli attuali campi sportivi come area dedicata alle attività ricreative. Furono creati il campo di bocce, il campo da calcio e il campo da pallavolo. Si creò anche il salone (gli attuali spazi vicino ai campi) dove si svolgevano feste molto belle. L’oratorio ospitava 200 bambini provenienti sia dalla scuola del Santa Chiara sia dalla Pallavicini.

Il salone di zona B era il primo punto di incontro per i ragazzi che si radunavano raggiungendo il posto a piedi o col motorino (non c’era ancora l’autobus). I ragazzi in motorino portavano le lettere del parroco in tutte le case della parrocchia. Padre Amedeo non aveva una particolare predisposizione per i giovani post-cresima che venivano seguiti da padre Daniele e padre Mario. I giovani erano impegnati sia nel comitato di quartiere sia nelle attività parrocchiali. C’era una coesione molto forte tra le attività della chiesa e quelle laiche. Ciò permetteva la creazione di una comunità molto coesa.

Quando fu scoperta la vela della nuova chiesa in zona A Giuseppe Spina (architetto della chiesa) racconta che padre Amedeo che era accanto a lui disse “A Giusè, ma che c…. hai fatto?!?”. Da persona molto schietta gli disse che la chiesa a prima vista non gli era piaciuta. Poi però ebbe modo di apprezzare la costruzione.

Gli anni dell'organizzazione pastorale

P. Pietro Leta (1997-2003)

17 giugno 2024

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Mentre gli anni di padre Amedeo sono stati gli anni pionieristici in cui i primi abitanti del quartiere hanno deciso di mettersi insieme per condividere l’esperienza della costruzione della comunità e dell’edificio della chiesa, gli anni in cui è stato parroco padre Pietro sono stati dedicati al consolidamento di una comunità costruita intorno ad un progetto pastorale ben definito.

Padre Pietro ha avuto il dono di studiare in seminario durante gli anni del Concilio Vaticano II, che ha rappresentato la base di nuove importanti di idee.

Padre Pietro fu inviato da Palermo ad essere parroco della nostra parrocchia. La comunità c’era già e il progetto pastorale aveva come obiettivo quello di tradurre i documenti conciliari (in particolare la Gaudium et Spes e la Lumen Gentium) in prassi pastorale. Questa metodologia era stata studiata in Argentina dove si svilupparono le prime idee di una nuova immagine della parrocchia. Il progetto consisteva nel capovolgere il modo di presentarsi della chiesa. La chiesa si presentava infatti in modo piramidale: un governo molto ristretto, pochissime persone vicine al governo e la moltitudine rappresentata dal popolo. La parrocchia riproduceva lo stesso schema: un parroco, poche persone vicine a lui e poi la moltitudine dei fedeli. In questo schema il popolo non si sentiva coinvolto. Il nuovo progetto pastorale aveva lo slogan “da massa a popolo di Dio” e prendeva il nome di NIP, nuova immagine parrocchiale. In questo progetto la struttura dell’anno liturgico veniva riempita di sostanza attraverso una dinamica ben precisa che partiva dall’analisi della realtà del territorio.

La nostra parrocchia fu pioniera del progetto NIP. Infatti, di venti parroci chiamati dalla diocesi per la presentazione del progetto, solo due aderirono immediatamente al progetto, tra cui padre Pietro. La nuova ipotesi di lavoro venne poi presentata ai fedeli. La proposta venne fatta sia a persone sensibili già inserite nel circuito della parrocchia sia a persone al di fuori di coloro che usualmente frequentavano la chiesa. TUTTI i battezzati dovevano essere parte importante della comunità parrocchiale, praticanti e non praticanti perché ognuno poteva dare il proprio contributo nell’approfondimento dei diversi temi.

Il manifesto di questa fase di rinnovamento di una Chiesa travolgente era il testo Evangelii Nuntiandi di Paolo VI che, riconoscendo una frattura importante tra Vangelo e cultura/società, sosteneva che evangelizzare volesse dire penetrare tutti gli aspetti della vita dell’uomo. Paolo VI riconosceva, infatti, che il Vangelo aveva ancora la forza di trasformare la società per costruire il futuro.

Il corso di formazione sul progetto NIP per i pionieri della nostra parrocchia si tenne nella struttura di Mondo Migliore vicino Castelgandolfo e durò otto giorni. Il progetto pastorale prevedeva che l’azione pastorale concreta scaturisse a valle di una fase di analisi e diagnosi che potesse fornire una visione d’insieme della realtà cristiana ma anche di quella sociale, includendo le attività scolastiche e sportive, per capire quale fosse l’incidenza dei diversi aspetti sulla vita delle persone. Le azioni pastorali che venivano proposte attraverso la realizzazione di eventi ed incontri avevano una dimensione sia popolare/sociale sia cristiana.

I diversi momenti del progetto pastorale - convocazione di tutti i battezzati, avvenimento redentore o settimana di fraternità, congresso eucaristico - mirarono a creare i presupposti per arrivare a tutti. Il territorio della parrocchia, infatti, fu suddiviso in sette zone pastorali. Vennero individuate persone che accettarono di fare da collegamento con il centro e lavorare/servire nelle singole zone visitando tutte le famiglie. Si crearono dei coordinatori per ogni condominio, i cosiddetti messaggeri (dopo la fase iniziale c’era un messaggero ogni quattro/cinque palazzi, risultato comunque notevole). Questa struttura così capillare permise alle persone che abitavano nello stesso palazzo di conoscersi tutte (in molti casi, pur condividendo lo stesso pianerottolo ci si conosceva poco): i foglietti che consegnavano i messaggeri erano anche strumenti di conoscenza.

Così l’anno liturgico si programmava con iniziative atte a convocare tutti. Il messaggio del parroco arrivava ogni mese a tutte le famiglie e conteneva una parte con spunti di riflessione sul tema che si era deciso di approfondire e riportava anche i diversi appuntamenti, eventi o iniziative concrete di condivisione e di incontro. Questo nuovo progetto pastorale portava un’aria nuova nelle famiglie del territorio parrocchiale in un clima di serenità e fraternità.

Di questi anni (indicativamente 1995-2005) si ricordano i pellegrinaggi a piedi al santuario del Divino Amore. Alcune persone più deboli venivano aiutate altre portate in spalla altre ancora, ammalate, accompagnate con le macchine.

Padre Pietro volle intraprendere, con grandi sforzi da parte delle persone coinvolte, il censimento di tutte le 4800 famiglie, di cui si conoscevano i cognomi per ogni numero civico di tutte le strade del territorio parrocchiale. Quest’opera fortemente voluta da padre Pietro è ancora oggi uno strumento estremamente utile per lo svolgimento delle attività parrocchiali.

Degli anni di padre Pietro si ricorda anche un coinvolgente pellegrinaggio in Terra Santa di 13 giorni organizzato da Luigi Sinibaldi e Salvatore Genuino senza ricorrere all’opera romana pellegrinaggi. Padre Pietro in quell’occasione fece rivivere il Vangelo a tutte le persone presenti (36 persone) in tutti i luoghi santi visitati, ad esempio risposando tutte le coppie a Cana di Galilea. Il pellegrinaggio ebbe i frutti desiderati perché fu preceduto e preparato accuratamente attraverso un corso biblico.

A padre Pietro si deve anche l’attività della lettura del Vangelo nelle case: nei condomini ci si riuniva una volta al mese per leggere insieme il Vangelo. Si crearono così sul territorio numerosi piccoli gruppi permanenti che approfondivano i diversi aspetti del tema dell’anno che i coordinatori dei gruppi definivano tutti insieme negli incontri in parrocchia.

Aneddoti raccontati da o su padre Pietro:

1. Padre Pietro ha sempre detto che quando si ha a che fare con il Signore bisogna osare perché Lui ci sostiene sempre.

2. Durante il saluto della comunità al primo parroco padre Amedeo, momento di grande tristezza per tutti, padre Pietro fu chiamato sul palco per un breve messaggio e esordì dicendo “se Roma piange, Palermo non ride”. Questa frase gli permise di rompere il ghiaccio e superare la diffidenza iniziale della gente nei confronti di un parroco venuto dalla Sicilia che ancora non si conosceva.

3. Fu il diacono Massimo ad andare a prendere padre Pietro in aeroporto la prima volta che venne a Roma da parroco.

4. Negli anni delle prime televisioni pay per view nei saloni dell’oratorio si organizzava la visione delle partite di calcio che raccoglieva anche oltre 300 persone. Così, invece di andare allo stadio, si vedevano le partite in comunità.

5. A tale proposito si ricordano diversi simpatici episodi di sfottò tra i tifosi della Lazio e della Roma negli anni degli scudetti del 2000 e del 2001.

6. Fu padre Pietro a far dare alla chiesa di zona B il nome di Stella Maris attraverso un sondaggio proposto ai fedeli. Padre Pietro, infatti, ha sempre visto come freddo e “catastale” il termine chiesetta di zona B.

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