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"Dilexi te": Leone XIV e
la rivoluzione evangelica dei poveri

L’amore di Dio che si fa carne nei poveri. Con Dilexi te, Papa Leone XIV invita la Chiesa a ritrovare il cuore del Vangelo, riconoscendo Cristo nei volti feriti dell’umanità e ricostruendo con giustizia e tenerezza la speranza del mondo

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di Riccardo Benotti

“Ti ho amato”: non è un titolo scelto per colpire l’immaginazione, ma una promessa. Con queste parole tratte dall’Apocalisse, Papa Leone XIV apre la sua prima esortazione apostolica, Dilexi te, firmata il 4 ottobre, memoria di san Francesco d’Assisi. Un testo che non si limita a enunciare principi, ma chiede alla Chiesa di interrogarsi su sé stessa e sul proprio posto in un tempo attraversato da fratture drammatiche, in cui guerre interminabili e disuguaglianze sempre più profonde sembrano aver anestetizzato le coscienze. In questo scenario, il Pontefice agostiniano invita a tornare alla sorgente del Vangelo: riconoscere l’amore di Dio là dove esso si lascia intravedere nei poveri, nei migranti, nei malati, nelle donne vittime di violenza, nei margini dimenticati della storia.

Il documento, articolato in 121 punti, non è un trattato sociologico ma un testo di fede incarnata, che parla al presente con voce profetica. “La dignità di ogni persona umana dev’essere rispettata adesso, non domani”, afferma il Pontefice, denunciando “la dittatura di un’economia che uccide” e la “cultura dello scarto” che considera sacrificabili milioni di vite. L’amore cristiano, spiega, non è un sentimento astratto ma “si fa carne” e si traduce in gesti concreti, perché servire i poveri “non è un gesto dall’alto verso il basso, ma un incontro tra pari”.

La sua voce risuona con forza in un mondo ferito. La guerra in Ucraina continua a devastare città e coscienze nel cuore dell’Europa, mentre in Medio Oriente il conflitto tra Israele e Hamas ha trovato un fragile punto di tregua con il cessate il fuoco firmato l’8 ottobre. In questo scenario, Dilexi te non è un appello generico alla solidarietà: è una chiamata a “trasformare le mentalità” e a costruire un ordine nuovo fondato sulla giustizia e sulla pace. La povertà non è una fatalità, ribadisce Leone XIV, né una scelta volontaria: è il frutto di sistemi economici ingiusti, di “ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati” e di strutture che privilegiano pochi a scapito di molti.

I poveri non sono dunque un tema tra gli altri, ma il centro stesso della fede cristiana: “Non possiamo considerarli come un problema sociale: essi sono una questione familiare”. Nelle parole del Papa emerge un’immagine di Chiesa che non osserva il mondo da lontano, ma cammina accanto a chi soffre, riconoscendo “in ogni migrante respinto Cristo stesso che bussa alle porte della comunità”. Dove il mondo costruisce muri, la Chiesa è chiamata a costruire ponti; dove l’indifferenza alza barriere, essa deve chinarsi con tenerezza sulle ferite dell’umanità.

L’esortazione apostolica offre anche una riflessione sul ruolo della comunità cristiana. La carità non è un’appendice, ma il nucleo incandescente della missione ecclesiale; l’elemosina non è paternalismo, ma “giustizia ristabilita”; l’impegno per l’inclusione non può essere delegato ai governi o relegato a iniziative periferiche, ma è parte integrante dell’annuncio del Vangelo.

A quasi cinque mesi dall’inizio del suo ministero, Dilexi te consegna un ritratto nitido di Papa Leone XIV: un pastore che non teme di denunciare le cause strutturali dell’ingiustizia, ma che allo stesso tempo invita la Chiesa a lasciarsi evangelizzare dai poveri, a imparare da loro la verità del Vangelo e a riscoprire, accanto a loro, il volto concreto dell’amore di Dio. “I poveri sono nel centro stesso della Chiesa”: è qui, in questa frase semplice e radicale, che si condensa il senso profondo di un pontificato che ha appena iniziato a scrivere la sua storia.

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